Convenzione di Vienna: la vendita internazionale di merci e il crescente numero di Stati aderenti

di Maurizio Gardenal e Christian Montana

Articolo pubblicato su “Diritto 24″, rubrica del Sole24Ore.com, 28 marzo 2012

La Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di merci stabilisce una serie di norme concepite con l’obiettivo di porre in essere un’uniforme regolamentazione legale nell’ambito della comunità internazionale fra Stati con diverse normative e, in alcuni casi, con sistemi giuridici fondamentalmente diversi.
Gli obiettivi dei promotori si sono concentrati, sin dall’inizio, nella determinazione di un comune consenso afferente una serie di regole da applicarsi ai contratti internazionali di vendita tra operatori appartenenti a diversi Stati nell’ambito della più vasta comunità internazionale.
Inutile dire che non è stato un compito facile.

Tuttavia, al temine di una lunga e a volte complessa trattativa tra gli Stati promotori, la Convenzione è stata sottoscritta nel 1980 ed è entrata in vigore a partire dal 1° gennaio 1988 con 11 stati firmatari; da allora il numero di Stati aderenti è aumentato notevolmente. L’ultimo Stato, in ordine di tempo, il 1° agosto 2011, è stata la Turchia.
Sino ad oggi, gli Stati che vi hanno aderito sono 77, provenienti da economie con diversi livelli di sviluppo e diversi sistemi legali che rappresentano complessivamente circa i tre-quarti del commercio mondiale. Solo per citare un esempio la lista degli Stati aderenti include l’Arabia Saudita, gli Stati Uniti, l’Italia, la Russia, il Giappone, La Cina, il Canada ed il Perù.

Una tale diversità di sistemi legali ha fatto si che, in alcuni casi, le norme della Convenzione fossero il frutto di una sorta di compromesso tra gli Stati membri.

Un esempio di tale compromesso può essere rinvenuto all’articolo 79 della Convenzione dove è inserita l’espressione “exceptions” invece di altre espressioni comunemente usate come “force majeur”, “hardship” o “act of a God”.
Uno dei temi più rilevanti che la Convenzione ha dovuto affrontare è stato quello di tutelare la parte più debole del contratto di vendita da possibili svantaggi derivanti dal potere contrattuale più “forte“ della controparte.

Questo è un aspetto molto importante da considerare sul presupposto che, nella maggior parte dei casi, i contratti di vendita vengono eseguiti senza che le parti abbiano stipulato alcun contratto tra di loro.
La Convenzione si compone di quattro parti:

– la prima parte contiene le disposizioni di applicazione e quelle di natura generale;

– la seconda parte riguarda la fase di formazione del contratto di vendita “cross border”;

– la terza parte afferisce al contratto di vendita, con particolare riferimento alle disposizioni che stabiliscono le obbligazioni tra le parti, i provvedimenti in caso di inadempimento contrattuale, le disposizioni inerenti al passaggio del rischio, le cause di forze maggiore e gli effetti della risoluzione del contratto;

– la quarta parte prevede disposizioni relative alle modalità di accesso alla Convenzione ed inerenti alle dichiarazioni di accettazione con riserva che gli Stati possono formulare nei confronti della Convenzione stessa.
Invero, si ricorda che la Convenzione non disciplina tutte le possibili tematiche che interessano il contratto internazionale.

Per esempio, la Convenzione non disciplina i seguenti argomenti: quelli relativi alla durata e alla validità del contratto, quelli relativi agli effetti del contratto sulla titolarità della merce, quelli sulla truffa contrattuale ed i vizi del contratto.

Questi importanti temi, nonché gli ulteriori argomenti che non sono regolati dalla Convenzione, debbono essere disciplinati in conformità alle clausole contrattuali che le parti possono decidere di applicare nel contratto.

Fondamentalmente, le norme della Convenzione possono essere derogabili dalle parti in tutto o in parte.

Inoltre, nel caso di un contratto internazionale di vendita dove le parti appartengano a Stati che abbiano ratificato la Convenzione, le regole della stessa saranno applicate direttamente al contratto, a meno che le parti non abbiano disposto diversamente.

Nella descritta situazione, il compratore ed il venditore dovrebbero discutere le clausole contrattuali del loro contratto di vendita poiché sono in condizione di stabilire le condizioni applicabili al contratto, con l’eccezione di eventuali norme nazionali di natura imperativa, nel caso in cui queste sussistano.

In tal senso, la legge applicabile è uno dei maggiori aspetti da considerare nella stesura del contratto e che può fare la differenza.

Facciamo un esempio.

Se le parti non hanno stipulato alcun contratto si applicherà la Convenzione.

Le norme della Convenzione prevedono che il compratore possa contestare i difetti della merce entro due anni dalla consegna della stessa (si veda l’articolo 39).

Questo significa che il compratore può, in qualsiasi momento, fatta eccezione per il termine finale, formulare contestazioni al venditore, anche a distanza di molto tempo dalla consegna della merce.

Pertanto, è naturale che il venditore non si senta rassicurato da tale disposizione.

L’esperienza insegna che, più si protrae nel tempo la facoltà del compratore di contestare la merce ricevuta maggiore è la probabilità che la contestazione possa essere sollevata con fini strumentali.

Cosa può fare in tal caso il venditore per contrastate questo rischio?

Può scegliere nel contratto di vendita una legge ed una giurisdizione che preveda una diversa regolamentazione del termine di contestazione in parola.

Sotto questo profilo, la legge italiana costituisce un possibile strumento di utilizzo.

L’articolo 1495 del Codice Civile italiano fissa un termine breve e specifico per eventuali contestazioni del compratore che è di otto giorni dalla consegna, nel caso di vizi apparenti della merce.

Si potrebbero citare altri esempi nei quali una delle parti potrebbe trarre beneficio dall’applicazione della Convenzione o da altre leggi.

Quello che maggiormente rileva in questa sede è, tuttavia, il metodo di ricerca indicato, anche noto come  ”forum shopping”.

A seguito dell’adesione della Turchia alla Convenzione il principio della libertà contrattuale delle parti di concordare consensualmente quali regole, leggi e giurisdizioni debbano applicarsi al proprio contratto ne risulta rafforzato.

Questa è una buona notizia se si considera la crescente importanza della Turchia nell’ambito della economia globale.

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