Danni punitivi statunitensi e incertezza del diritto italiano

di Maurizio Gardenal

Articolo pubblicato su “Diritto 24″, rubrica del Sole24Ore.com, 12 luglio 2012

Vale la pena segnalare una recente sentenza della Corte di Cassazione italiana sul tema del riconoscimento in Italia dei cosiddetti danni punitivi (punitive damages) in essere nell’ordinamento USA.
Come noto la categoria dei “danni punitivi” trova ingresso presso le Corti USA in una serie di circostanze fra le quali, in particolare, in presenza di gravi lesioni personali riconducibili a imperfezioni e/o a difettosità di macchinari industriali.
Negli USA vige una normativa particolare in materia di responsabilità del produttore che prevede, a carico dei fabbricanti di strumenti che per loro natura possono recare danno a chi ne fa uso una serie di cautele, precauzioni e comunicazioni al pubblico e agli operatori interessati, la cui diligente adozione vale, in linea generale, ad escludere o, in ogni caso, a limitare tale responsabilità.
Va da sè che, l’inosservanza di tali misure, può configurare una responsabilità risarcitoria in misura anche superiore al danno effettivo che la vittima sia stata in grado di dimostrare, sul piano oggettivo, nel corso del giudizio.

In altri termini, la Corte potrebbe valutare e quantificare, oltre al danno emergente ( ad esempio le spese mediche documentate ) e al lucro cessante ( ad esempio la perdita delle retribuzioni documentate) , anche altri elementi quali la sostanziale e permanente  compromissione della capacità lavorativa, la effettiva lesione della sfera emozionale e relazionale della vittima, la giovane età di quest’ultima e altre componenti correlate.
Tutto ciò ha generato apprensioni e preoccupazioni in molti operatori soprattutto stranieri non esclusi in particolare gli europei timorosi di essere esposti al rischio giudiziale di condanne risarcitorie rilevanti.
Tuttavia , molto spesso, tali allarmi si rivelano ingiustificati soprattutto nei riguardi di coloro che, dopo un diligente monitoraggio delle normative vigenti in materia, si curano di porre in essere quanto occorre per adempiere alle prescrizioni ivi previste.
D’altro canto appare di comune accettazione il principio in base al quale colui che desidera operare in un determinato territorio deve attivarsi per acquisire consapevolezza delle regole assunte in tale giurisdizione e recepire le stesse, per quanto possibile.
 In Italia le sentenze USA che contengono la condanna al risarcimento di tali danni non hanno trovato agevolmente accesso sul presupposto, come noto, che i danni punitivi in quanto tali sarebbero contrari all’ordine pubblico, ossia in contrasto con principi del nostro ordinamento giuridico ritenuti inderogabili.
Tale postulato esprime oggi la posizione pressoché unanime delle suprema corte italiana.

In tale contesto rappresenta pertanto una novità degna di attenzione la recente sentenza di delibazione  dalla Corte d’Appello di Torino che, sulla scorta della legge italiana del 31 maggio 1995 n. 218, ha invece riconosciuto validità nel nostro Paese- con provvedimento del settembre 2009- ad una sentenza emessa da una Corte dello Stato del Massachussets.

Senza in questa sede entrare nel merito dei fatti e dei tecnicismi motivazionali adottati dai rispettivi organi giudicanti, varrà in ogni caso porre in evidenza il significato emblematico della suddetta sentenza della Corte di Torino che si è espressa in modo essenzialmente differente rispetto al  pensiero della Cassazione.
 La stessa Cassazione ha in seguito provveduto, con sentenza resa in data 8 febbraio 2012, ad annullare la precedente pronuncia della Corte di appello con conseguente rinvio a quest’ultima per un nuovo giudizio sulla scorta dei principi da essa stabiliti.
Tutto ciò dovrebbe indurre ad alcuni riflessioni.
Pur prendendo atto della cassazione della sentenza d’appello va rilevato che tale sentenza “medio tempore” potrebbe essere stata posta in esecuzione dalla vittima statunitense nei confronti della società italiana che pertanto potrebbe avere già corrisposto le somme liquidate in mancanza di una sospensiva degli effetti esecutivi della delibazione.

Ne consegue che la società italiana potrebbe trovarsi nella condizione di dover avviare un nuovo giudizio nei confronti della vittima statunitense per recuperare da quest’ultima gli importi ad essa corrisposti nel caso la delibazione fosse in seguito negata.

Poiché si tratta di soggetto residente negli USA  la società italiana dovrebbe presumibilmente promuovere un giudizio dinanzi alla Corte statunitense competente per chiedere la ripetizione delle somme versate adducendo la successiva revisione della precedente decisione di delibazione.

Memori che le sentenze italiane non sono riconosciute di per sè negli USA difficilmente la domanda giudiziale della parte italiana potrebbe trovare una qualche sorta di accoglimento.
In altre parole, ci si troverebbe di fronte ad un caso paradossale nel quale alla “fine del gioco” la società italiana potrebbe essere ritenuta la vera vittima del fuoco incrociato della doppia giurisdizione anche in considerazione delle ingenti spese processuali generate da un ricorso così esteso allo strumento giudiziale a discapito di quello preventivo/deterrente.
Anche in questo caso pertanto, come in altri simili, appare determinate una valutazione preliminare delle  normative straniere di interesse previa attuazione di una scrupolosa “due diligence” atta a individuare la giusta “road map” necessaria al contenimento dei rischi connessi con il fronte giudiziale.
Non da ultimo gli operatori italiani dovrebbe fare attenzione a ignorare “tout court” i procedimenti dinanzi alle autorità giudiziarie USA nei quali sono chiamati restando contumaci soprattutto nei casi in cui tali giudizi fossero radicati dinanzi a Corti statali.
Tali Corti – spesso composte da giurie popolari- sono, come noto, sovente meno preparate e a volte meno imparziali di quelle federali con effetti spesso molto diversi nei due casi.

Nella descritta situazione, le parti italiane dovrebbe fare buon uso della facoltà loro riconosciuta negli USA di presentare una mozione per trasferire la competenza giurisdizionale presso le Corti federali con esclusione di quella statale, nei casi in cui sia possibile.

Ciò comporta però la costituzione nel procedimento locale e la presentazione di una apposita istanza che va formalizzata in “limine litis” ossia con il primo atto difensivo.
Una più attenta considerazione e ponderazione di tali cautele potrebbe indubbiamente tradursi, in molti casi,  in un significativo risparmio di tempo, denaro e soprattutto in un uso più avveduto e parsimonioso dello strumento giudiziale.

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