Ronaldo e le British Virgin Islands

di Maurizio Gardenal, Avvocato, Studio legale internazionale Gardenal & Associati di Milano
Articolo pubblicato su “Diritto 24″, rubrica del Sole24Ore.com, 29 gennaio 2019

Il 22 gennaio Ronaldo ha formalizzato presso la Corte di Madrid l’accordo raggiunto nel luglio 2018 con le autorità spagnole (“Autorità”) per sanare imposte inevase pari a Euro 14.8m relative al periodo 2011-2014.

Nel complesso il calciatore (“Cristiano”) ha accettato di corrispondere la somma di Euro 18.8m comprensiva di interessi e sanzioni in cambio della sospensione della pena di 23 mesi decretata dalla Corte.

I proventi sono riconducibili a entità con sede nelle British Virgin Islands (BVI) i territori britannici che hanno rigettato le normative varate da Londra sulla trasparenza fiscale (cfr. http://www.diritto24.ilsole24ore.com/art/avvocatoAffari/mercatiImpresa/2018-11-08/possedimenti-britannici-d-oltremare-nuova-panama-papers-124627.php ).

Cristiano è stato indotto a patteggiare non “sua sponte” ma perché a fine 2016 la whistleblowing platform Football Leaks ha consegnato al quotidiano tedesco Der Spiegel hard drives contenenti migliaia di documenti “segreti” relativi a protagonisti del calcio fra i quali Xabi Alonso, Pepe, Ricardo Carvalho, James Rodriguez, Mourinho e altri.

La Spagna aveva introdotto nel 2004 la nota “Lex Beckham”per agevolare, fra l’altro, l’arrivo nei grandi Club dei calciatori stranieri più in vista sedotti dall’esenzione fiscale sui redditi prodotti all’estero.

Cristiano fu tra coloro che optarono per il paese Iberico che però nel 2010 soppresse la normativa (salvo alcune eccezioni a termine) abbandonando lo status di paradiso fiscale del football e consegnando il testimone ad altri paesi, tra i quali l’Italia.

Conclusioni

Mentre in UK infuria lo scontro sulla Brexit che riempie da tempo le pagine dei notiziari, il tema della sovranità della Corona, con rifermento all’ampiezza del territorio governato, assume evoluzioni inaspettate.

Nelle BVI e nelle Cayman Islands – a dispetto della pubblicità dei beneficial owners varata da Londra – i governi e le giurisdizioni locali persistono con fermezza a salvaguardare il velo dell’anonimato che ha segnato la fortuna economica e finanziaria delle isole caraibiche.

Nondimeno, dopo il più massiccio leak mai registrato nella storia dello sport, anche tale cortina appare destinata a cadere sotto i colpi degli attacchi elettronici che sembra abbiano violato le roccaforti fiscali inglesi di oltre oceano.

Al di là di qualche guaio giudiziario che ha coinvolto Cristiano e altri, senza particolari conseguenze sui loro portafogli reali, la posta in palio appare più complessa e coinvolge la nuova veste che il Regno Unito va tracciando nello scacchiere internazionale.

L’industria finanziaria che ha sorretto la crescita del paese negli ultimi decenni anche in virtù di un tessuto normativo ricco di soluzioni fiscali di favore ha ceduto il passo a nuove disposizioni che hanno reso il paese meno competitivo in un contesto in rapido mutamento.

La vicina Irlanda si colloca in pole position per ereditare le attrattive britanniche che dopo l’abbandono dell’Europa comunque vada – hard o soft – non saranno più le stesse.

Dublino – già da tempo sotto i riflettori per la sua offerta di servizi direzionali – si candida a subentrare a Londra come primario hub europeo per i business non solo di grandi dimensioni.

Con una imposizione sui redditi societari stabilmente collocata al 12,5%, un bacino di supporto al management non secondo a nessuno, una stabilità politica rara nel variegato ambito europeo, il paese sale di livello tendendo la mano allo sbarco di società alla ricerca di un abito appropriato per reggere l’urto della competizione globale.

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