USA: storica vittoria cinese nel braccio di ferro sull’acciaio

di Maurizio Gardenal, Avvocato, Sara Marchese, Dottoressa, Studio legale internazionale Gardenal & Associati di Milano
Articolo pubblicato su “Diritto 24″, rubrica del Sole24Ore.com, 24 maggio 2018

Il 19 marzo la US International Trade Commission ha rigettato il ricorso promosso da uno dei più grandi produttori di acciaio statunitensi ( di seguito A ) in forza della Section 337 del Tariff Act del 1930 nei confronti di vari operatori cinesi del settore ( di seguito B).

La Section 337 viene normalmente utilizzata per ottenere provvedimenti di diniego all’ingresso negli USA di prodotti lesivi delle normative poste a tutela della proprietà intellettuale ( IP).

A asseriva in linea principale che B avesse fissato prezzi al di sotto di quelli diffusi nel mercato con il proposito di assumere il controllo dei volumi di produzione e di vendita negli USA danneggiando le aziende e i lavoratori del settore.

A sosteneva di non essere gravata dall’onere di accertare un danno specifico ritenendo idoneo a integrare la violazione di legge il pregiudizio che la condotta di B avrebbe complessivamente generato sul piano collettivo.

La ITC declinava l’istanza confermando un provvedimento preliminare emesso nel novembre 2016 poiché A non avrebbe fornito la prova necessaria a sostenere la premeditata condotta di B finalizzata ad assumere illecitamente il controllo del mercato.

Segnatamente A avrebbe dovuto fornire adeguate evidenze probatorie con riferimento alla:

1) imposizione effettiva di prezzi di vendita “below an appropriate measure of defendant’s costs in the short term” e che 2) defendant “had a dangerous probability of recouping its investment in below-cost prices”.

Invero, la regola di common law che trova applicazione alla prospettata tesi di A implica che ” the plaintiff must demonstrate that there is a likelihood that the predatory scheme alleged would cause a rise in prices competitive level that would be sufficient to compensate for the amounts expended on the predation, including the time value of the money invested in it”.

Va detto che le normative statunitensi sulla concorrenza sono tendenzialmente informate a garantire un elevato livello di competitività pertanto ogni possibile deroga si presta a urtare con orientamenti generalmente restrittivi espressi dalle Corti: il caso in parola ne è un esempio anche se la ITC non è propriamente un’ autorità giudiziaria.

Conclusioni

A si è rivolta alla ITC anziché ad una Corte Federale forse nella erronea supposizione che di fronte alla Commissione la valutazione del carico probatorio richiesto per il predatory scheme fosse complessivamente meno “oneroso”.

Di fatto la ITC non è frequentemente investita di casi in materia di anti-trust e non sembra disporre necessariamente di competenze specifiche in materia e si è pertanto pronunciata prestando attenzione a non discostarsi dai precedenti giudiziari che sono vincolanti in un sistema di common law.

La decisione costituisce un successo storico per gli operatori cinesi che per la prima volta beneficiano di un esito positivo in ordine alla conclusione di una procedura avviata di fronte ad una Autorità statunitense di assoluta rilevanza economica.

Non è probabilmente un caso che pochi giorni dopo la pubblicazione della pronuncia il Presidente Trump abbia sollecitato lo USTR (cfr. http://www.diritto24.ilsole24ore.com/art/avvocatoAffari/mercatiImpresa/2018-04-20/dazi-usa-benefici-gli-esportatori-europei-115738.php?refresh_ce=1) a rendere nota una lista di prodotti di origine cinese da sottoporre a dazi aggiuntivi sino al 25% “ad valorem” tra i quali spiccano quelli che interessano l’industria dell’acciaio.

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