USA: la conclusione del contratto nelle fasi preliminari

di Maurizio Gardenal, Avvocato, Sara Marchese, Dottoressa, Studio legale internazionale Gardenal & Associati di Milano
Articolo pubblicato su “Diritto 24″, rubrica del Sole24Ore.com, 22 febbraio 2017

Il tema relativo alle modalità di conclusione del contratto di vendita dovrebbe essere informato alla massima certezza posto che occorre evitare fraintendimenti sul piano operativo: in realtà le normative variano sensibilmente sulla base delle disposizioni in essere nei diversi sistemi giuridici.

Di seguito alcune brevi annotazioni che interessano i rapporti con operatori statunitensi.

In Italia, l’articolo 1326 c.c. prevede che il contratto si concluda nel momento in cui il proponente ha notizia dell’accettazione della proposta sul presupposto che tale accettazione corrisponda integralmente alla proposta stessa. Pertanto, in linea di principio, venditore e compratore debbono concordare in modo assoluto in relazione al contenuto dell’accordo.

La Convenzione di Vienna in materia di vendita di merci (di seguito anche semplicemente Convenzione) offre un criterio diverso, stabilendo ex art. 19 che il contratto deve ritenersi concluso anche nel caso in cui l’accettazione contenga clausole aggiunte o difformi purché non intacchino sostanzialmente i termini della proposta.

Ulteriormente diverso è il contesto nei sistemi di common law e in particolare nell’ordinamento statunitense nel quale uno degli orientamenti più diffusi è quello recepito dalla regola conosciuta come “knock-out doctrine”.

In sintesi, la knock-out doctrine è prevista dallo Uniform Commercial Code che è stato adottato dalla maggioranza degli Stati e che si applica essenzialmente ai rapporti commerciali e alla vendita.

In virtù di tale indirizzo un’accettazione non conforme alla proposta costituisce in ogni caso accettazione e le clausole aggiuntive o difformi non entrano a far parte del contratto.

Nella descritta situazione, il contratto può ritenersi concluso in forza delle sole condizioni contrattuali concordanti con esclusione – di fatto – delle clausole difformi.

Vale ricordare inoltre che, in assenza di specifiche disposizioni contrarie, alla vendita di merci tra operatori italiani e statunitensi si applica la Convenzione di Vienna la quale non prescrive forme particolari per la formalizzazione del contratto (cfr. art 11).

In siffatto contesto, l’avvio di una trattativa tra le parti che abbia nondimeno condotto le stesse a convergere in relazione ai temi essenziali della transazione potrebbe essere ritenuta conclusiva anche in assenza di una accordo consacrato in unico documento e in mancanza di un assenso complessivo.

Sul piano pratico, anche lo scambio di messaggi a mezzo di posta elettronica tra le parti contenenti termini di vendita divergenti bensì concordanti con riferimento a prezzo, quantità e identificazione dell’oggetto della vendita potrebbe generare effetti vincolanti.

Naturalmente l’argomento richiede una dissertazione più ampia. Nondimeno, alla luce delle suesposte considerazioni si evince come sia opportuna – già in fase preliminare – l’adozione di opportuni accorgimenti al fine di prevenire l’assunzione di imprevedibili effetti indesiderati.

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