L’accesso al credito negli USA

di Maurizio Gardenal

Articolo pubblicato su “Diritto 24″, rubrica del Sole24Ore.com, 20 giugno 2012

Non è sempre facile decifrare le modalità di accesso al credito bancario per l’operatore italiano che avvia una attività d’impresa negli Stati Uniti.

In realtà i bilanci delle banche non sono generalmente conosciuti dal pubblico e la stampa e i media, in linea di massima,non si curano più di tanto di prendere visione di prima mano dei reali valori espressi dalla contabilità degli Istituti  per fornire informazioni più “aggiornate” ai lettori.
Nondimeno, gli effetti di tale condizione sono, al contrario, assai evidenti e si concretizzano nel disagio dell’impresa, soprattutto di piccole e medie dimensioni, a trovare linee di credito per finanziare lo sviluppo e nella conseguente correlata contrazione dell’attività produttiva.

Invero negli USA, la posizione dell’operatore non è paragonabile a quella italiana, poiché il rapporto con gli Istituti di credito è sostanzialmente configurato e strutturato in modo differente.
Acconto alle grandi banche d’affari molto note per svariati motivi non sempre gradevoli, vi sono negli Stati Uniti una molteplicità di banche commerciali di dimensioni più modeste che operano molto spesso a livello statale con le quali è generalmente possibile negoziare liberamente il contratto di finanziamento.

Con tali istituti non vi sono in genere modelli pre-stampati a cui aderire unilateralmente  e/o condizioni pre-definite  e imposte bensì, l’accordo sulle modalità dell’erogazione,  è frutto di un negoziato “aperto” fra le parti.
In tale contesto, anche il tema delle garanzie (collaterals), pur restando di natura essenziale, viene affrontato con riferimento ad una base di valori aziendali molto più ampia.

Così a titolo di esempio, oggi in Italia, pur auspicando che si tratti di una condizione superabile in futuro, è assai difficile che un istituto possa finanziare una nuova attività d’impresa sulla base di un semplice “business plan”.
Il motivo che viene addotto per giustificare il rifiuto risiede normalmente nel non ritenere “a priori” un business plan una garanzia in quanto tale, con ciò non considerando neppure il contenuto intrinseco del progetto.

Questo rigetto pregiudiziale non è invece la regola negli USA.

Prescindendo dal mondo del private equity che non è oggetto della presente disamina, la condotta di una banca commerciale statunitense non sarà di semplice non considerazione del progetto bensì, in linea di principio, quella invece di entrare nel merito del contenuto dello stesso in una dialettica di fattiva collaborazione con l’operatore.

Naturalmente, molta importanza dovrà essere attribuita alla scelta dell’istituto in un mercato finanziario molto più articolato e complesso di quello di altri paesi; tuttavia, detto ciò, le modalità di accesso al credito seguono modelli “culturali” diversi.
Nella valutazione del business plan possono assumere rilevanza alcuni assets aziendali che poco o nulla rilevano per ottenere credito in altri Paesi.

E così, ancora a titolo esemplificativo, si potranno prendere in considerazione, fra gli altri, le scorte di magazzino, i crediti che l’impresa vanta nei confronti della clientela, eventuali marchi d’impresa, brevetti o altri diritti di proprietà industriale, ossia “valori” che generalmente non godono di alcuna dignità come “garanzia” per l’accesso al credito presso istituti europei.
Nella descritta situazione è possibile ottenere liquidità senza necessariamente prestare “garanzie” che posso essere molto onerose per un operatore in fase di avvio come la costituzione di un determinato capitale iniziale di una certa entità o come garanzie di natura reale, ossia il conferimento di beni immobili.

Il famigerato “spread”, di cui in questi giorni tanto si parla nel contesto finanziario del vecchio continente sia pure a livello sovrano, viene generalmente negoziato nel rapporto banca/operatore, sulla base di indici generalmente più bassi, quantomeno allo stato, rispetto agli standard europei.
Ciò significa scontare un tasso di interesse sul finanziamento dell’attività di impresa più favorevole e agevolmente rinegoziabile con l’Istituto.

Inoltre, gli accordi con le banche USA sono caratterizzati da una certa flessibilità che consente all’impresa di modificare i termini del contatto liberamente in qualsiasi momento senza l’applicazione di penali, con riferimento, ad esempio, alla durata o all’importo del finanziamento, alla natura delle garanzie, ai tassi di intersesse che possono decrescere nel caso di difficoltà temporanea, per citare solo alcuni esempi.
Non va dimenticato, nel quadro delineato, che l’imprenditore straniero è sempre assistito dalle Autorità locali, sia statali sia dalle contee/municipalità che si attivano prontamente, nell’ambito delle rispettive competenze, per favorire i rapporti  dell’operatore con gli Istituti finanziari.

Tali Autorità, molto spesso, sono in grado di offrire agli imprenditori esteri anche agevolazioni fiscali e incentivi importanti:  vi sono casi in cui viene  “donato” il terreno alla foreign corporation per la edificazione della sede aziendale,  per citare, fra gli altri, un caso esemplificativo.

Questo argomento è di indubbio interesse per l’operatore straniero che intenda avviare un business negli USA.

 

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