Decisivo negli USA il contratto di acquisto nelle transazioni di M&A per stabilire i limiti degli obblighi delle parti

di Maurizio Gardenal, Avvocato, Sara Marchese, Dottoressa, Studio legale internazionale Gardenal & Associati di Milano
Articolo pubblicato su “Diritto 24″, rubrica del Sole24Ore.com, 22 giugno 2017

Nel novembre del 2016 il “Vice Chancellor” della “Delaware Court of Chancery” ha rilasciato una “opinion” con la quale ha ritenuto prive di valore le asserite violazioni di obbligazioni mosse da una parte all’altra nel contesto di una procedura di M&A se non espressamente trasfuse nel definitivo “purchase agreement”.

Nella fattispecie, il compratore aveva contestato la sussistenza di una condotta illecita del venditore sostenendo di essere stato indotto a corrispondere un prezzo eccessivo per una delle subsidiary dello stesso sulla base di una esposizione non veritiera dei costi di pubblicità commerciale sostenuti da quest’ultima.

Il rilascio delle notizie incriminate sarebbe avvenuto nel corso della fase di “due diligence”con la costituzione di una data room elettronica che mostrava – fra le altre – le comunicazioni afferenti la subsidiary, rese dal venditore al compratore.

Nel “purchase agreement” che ha fatto seguito alla definizione della due diligence le parti – pur prevedendo una serie di vincoli dichiarativi estesi anche ai temi finanziari con le associate garanzie – non avevano ritenuto di includere alcuna clausola relativa a possibili inadempimenti riconducibili alla fase precedente avuto riguardo alla posizione della subsidiary in parola.

Il giudice ha respinto la “fraud claim” del compratore sulla base essenzialmente delle seguenti osservazioni:

1) Il contratto finale di acquisto (d’ora in poi più semplicemente “contratto”) contemplava un “disclaimer” a beneficio del venditore in relazione ad attestazioni, obbligazioni e garanzie non espressamente richiamate e disciplinate nel contratto;

2) Il compratore ha riconosciuto nel contratto che le dichiarazioni e le informazioni rese dal venditore nella fase della due diligence non avevano natura vincolante fatta eccezione per il caso in cui non fossero state oggetto di esplicita disciplina nel contratto stesso;

3) Il contratto conteneva una “standard integration clause” che definiva con precisione il “recinto” della documentazione e delle informazioni sulle quali le parti dichiaravano di fare affidamento ai fini della conclusione dell’affare senza che vi fosse menzione alcuna alle fasi precedenti al contratto stesso.

La decisione riveste importanza poiché fissa con chiarezza alcune regole che presiedono al contenuto effettivo che il “purchase agreement” dovrebbe esprimere ai fini della complessiva tutela delle parti nelle transazioni di merger and acquisition.

In particolare, risulta confermato l’orientamento della common law statunitense a considerare la fase della due diligence non “binding” con la necessità pertanto di adottare ogni più opportuno accorgimento dettato dalle varie istanze di tutela che ciascuna parte ha l’onere di salvaguardare nella prospettiva di realizzare al meglio il progetto di business che ha originato l’avvio del deal.

Nella descritta situazione è opportuno accertare e rendere evidente in tutte le diversi fasi della procedura la natura e gli effetti che debbono prodursi a seguito dello scambio di comunicazioni intercorrente tra le parti con particolare attenzione al contratto finale, ad evitare indesiderate preclusioni e decadenze.

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