16 Mar Danni punitivi statunitensi: cambiano le regole
di Maurizio Gardenal
Articolo pubblicato su “Diritto 24″, rubrica del Sole24Ore.com, 16 marzo 2015
La sentenza della United States Court of Appeals for the Second Circuit a New York City del 17 dicembre 2014, nel caso Turley vs. ISG Lackawanna, Inc., ha segnato una svolta nell’ambito della modalità di quantificazione dei danni punitivi.
La fattispecie ha interessato un lavoratore di colore, che per diversi anni, sul luogo di lavoro, è stato vittima di discriminazioni razziali. La Corte Distrettuale chiamata a pronunciarsi ha condannato l’azienda, presso la quale la vittima prestava la propria opera, al pagamento di un risarcimento danni a suo favore pari a 1.25 milioni di dollari. La giuria, inoltre, aveva decretato che l’impresa corrispondesse al lavoratore discriminato 24 milioni di dollari a titolo di danni punitivi. La Corte Distrettuale tuttavia, ritenendo tale importo eccessivo, ha ridotto l’ammontare dei danni punitivi a 5 milioni di dollari.
Vale rilevare che la somma stabilita per il risarcimento dei danni (compensatory damages) e quella per i danni punitivi (punitive damages) normalmente sono in proporzione. Invero, i punitive damages erano quattro volte più elevati rispetto alla somma disposta per il risarcimento danni: la Corte Distrettuale ha applicato la four-to-one ratio. Tale proporzione è stata successivamente considerata eccessiva dalla Second Circuit, sul presupposto che quando la somma fissata per il risarcimento danni è elevata – come è stata ritenuta nel caso – non sarebbe ragionevole considerare danni punitivi di entità quattro volte superiori. Inoltre, nella vicenda che interessa, i danni da risarcire erano esclusivamente di natura “intangibile”, difficili, come noto, da quantificare. La Second Circuit ha pertanto concluso che l’azienda poteva essere condannata a pagare danni punitivi che fossero al massimo il doppio dell’ammontare previsto per il risarcimento danni (1.5 milioni di dollari).
La pronuncia della Second Circuit rispecchia, più in generale, l’orientamento giurisprudenziale in ordine alla quantificazione dei danni punitivi. A tale proposito – già nel 2003 – la Corte Suprema, nel caso State Farm vs. Campbell, aveva statuito che non sarebbero stato lecito stabilire una proporzione fissa, applicabile a qualsiasi fattispecie, tra punitive damages e compensatory damages, e che, in linea di principio, i danni punitivi potevano essere quantificati al massimo nove volte superiori all’ammontare fissato per il risarcimento dei danni. Si è andata a delineare di conseguenza la prassi del single-digit ratio.
Nella descritta situazione e a seguito delle successive sentenze frattanto intervenute nella delicata materia, ivi compresa quest’ultima recente significativa pronuncia della Second Circuit, si può affermare che si sta consolidando un orientamento tendente a porre limiti sempre più stringenti nell’ambito della quantificazione dei danni punitivi, al fine di evitare, in ogni caso, condanne eccessive e sproporzionate.
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