Cina e investimenti esteri: blacklist al posto del diritto per le entità non gradite

a cura di Maurizio Gardenal, Avvocato, Studio legale internazionale Gardenal & Associati
Articolo pubblicato su “Diritto 24″, rubrica del Sole24Ore.com, 27 luglio 2019

Il 31 maggio il Ministero del Commercio cinese ( Ministero) ha varato una “Unreliable Entity List” (Black list) nella quale saranno collocati società e individui stranieri che a giudizio dell’amministrazione ( riassumiamo per brevità in via di sintesi ) si rendano responsabili di quanto segue:

• Infrangere le regole del mercato;

• Trasgredire lo “spirito del contratto”;

• Interrompere ingiustificatamente le forniture a entità cinesi o, in ogni caso, avviare condotte discriminatorie indirizzate a tali entità;

• Generare “material harm” ad aziende cinesi e/o alle relative attività industriali;

• Porre in essere attività che costituiscano una minaccia alla sicurezza nazionale.

Il Direttore generale del Ministero Wang Hejun ha dichiarato che un primo elenco di soggetti sarà reso pubblico a breve omettendo di fornire indicazioni di qualsivoglia sorta – fatta eccezione per i citati criteri – in ordine alle modalità che dovrebbero presiedere al governo della lista.

Non è una novità che Pechino si avvalga di black lists per stabilire chi goda di uno stato di diritto e chi no.

Basti pensare al caso dei virtual private network ( VPN ) e alla legge del 1996 che disciplina l’accesso globale alla rete, la quale prescrive che internet possa essere utilizzato solo per via di provider governativi.

Nel 2017 il Regolatore cinese – a fronte dell’incessante proliferazione dei VPN – ha emesso un provvedimento per disciplinare l’attività degli stessi sui quali fanno affidamento, oltre ai connazionali, anche gli stranieri per l’uso, ad esempio, di Google e Facebook che sono normalmente preclusi in Cina (Cyber Security Law of the People’s Republic of China).

Segnatamente, il Regolatore ha stabilito che i VPN debbano munirsi di apposita licenza, senza la quale non potrebbero essere considerati nell’ambito della legalità.

La misura, tuttavia, non è operativa, posto che non è chiaro come possa essere tecnicamente implementata e quali criteri debbano assurgere ad ago della bilancia per distinguere chi abbia diritto ad ottenere la licenza e chi no. ( si veda sul punto il nostro contributo:

Cina-USA: il triello fra controllo, consenso e dazi

Nella descritta situazione, ad oggi, la pressoché totalità dei VPN è posta di fatto in una black list di coloro che operano “all’ombra della legge”.

Lo stesso vale – mutatis mutandis – per la Black list del Ministero che istituisce una lista di operatori che, per il fatto solo di appartenere a tale lista in virtù di un atto d’imperio, sono considerati fuorilegge con buona pace, fra l’altro, delle normative che reggono gli investimenti esteri in Cina e, più in generale, di tutte quelle che hanno attinenza con le attività commerciali e industriali promosse nel paese da attori stranieri.

Conclusioni

È comprensibile che Pechino sia irritata per l’Ordine esecutivo di Trump del 16 maggio che vieta alle società statunitensi di fare affari con Huawei anche se sembra dimenticare che il campione tecnologico nazionale ha appena fatto causa al Governo statunitense esercitando un’azione che sarebbe del tutto inconcepibile in Cina (si veda il nostro contributo:

5G: tra USA e Pechino il diritto è destino

Tuttavia, la svolta autoritaria del diritto in Cina è in atto da tempo e dalla negazione delle libertà individuali si sta diffondendo rapidamente a vasti settori della vita economica e industriale del paese si veda, fra l’altro, il nostro contributo:

Cina: danno moltiplicato per 5 per il dipendente che viola il trade secret

Inutile dire che le sanzioni di Washington hanno indotto molti produttori cinesi a optare per paesi vicini esenti oltre a colpire gravemente il settore manifatturiero che ha sempre sostenuto in modo essenziale la crescita.

Non è un caso che il GDP cinese del secondo trimestre si attesti al livello più basso in un arco di tempo di quasi trenta anni ossia dal 1990, l’anno seguente agli scontri di Tiananmen.

E , alla stessa stregua, non è forse un caso che il ribasso registrato, che abbatte la crescita sino all’epoca degli scontri nella grande piazza nel cuore del paese asiatico, coincida con le massicce proteste in corso a HK.

Pechino non può pensare di governare rinunciando al diritto e surrogandolo con atti d’autorità poichè le regole della vita economica non sono compatibili con tale condotta e “rebus sic stantibus” non può permettersi di gestire il violento braccio di ferro con gli USA con una politica aggressiva e intimidatoria nei confronti degli investitori esteri.

Il clima di “caccia alle streghe” potrebbe non bastare più al partito unico per mantenersi saldo al comando quando anche l’assenza dei diritti soggettivi più elementari inizia a essere posta in discussione con fermezza – forse per la prima volta – dopo decenni di assolutismo.

Link all’articolo

No Comments

Sorry, the comment form is closed at this time.