La Corte inglese non riconosce la litispendenza e la connessione con un giudizio italiano

a cura di Maurizio Gardenal, Avvocato, e Lucia Ricchiardi, Dottoressa, Studio legale internazionale Gardenal & Associati di Milano
Articolo pubblicato su “Diritto 24″, rubrica del Sole24Ore.com, 1 dicembre 2015

In una recente pronuncia, la Corte inglese ha negato la sospensione del giudizio a beneficio del giudice italiano precedentemente investito della vertenza invocando il Regolamento Bruxelles 2001 in tema di litispendenza e connessione internazionale. Nella medesima udienza ha inoltre deciso nel merito la lite, applicando il rito sommario.
Nel caso di specie un Ente previdenziale italiano (di seguito “Ente”) – assistito da un Istituto di credito inglese al quale si era rivolto ( di seguito “Istituto” ) – aveva investito nell’acquisto sul mercato azionario di strumenti finanziari di origine “derivata” stipulando con quest’ultimo, a tal fine, un accordo specifico.
Contestualmente, le parti stipulavano un accordo professionale per regolare fra esse le condizioni dell’operazione finanziaria.
Entrambi tali accordi erano regolati dalla legge inglese e contenevano una clausola in cui veniva concordata la giurisdizione inglese: nel contratto principale la giurisdizione era indicata come esclusiva mentre tale precisazione non era contemplata nell’accordo professionale.
La controversia è sorta quando l’Ente – a seguito dell’esito negativo dell’operazione finanziaria – ha subito una grave perdita ed ha richiesto all’Istituto in Italia il risarcimento del danno subito, in conformità all’orientamento maturato dalla giurisprudenza italiana in materia di responsabilità degli intermediari finanziari correlata all’impiego dei derivati.
In sintesi, nel giugno 2014 l’Ente ha citato l’Istituto dinnanzi al tribunale di Milano, nonostante la documentazione prodotta contenesse la clausola di giurisdizione esclusiva dei tribunali inglesi – e della relativa legge – contestando la violazione delle norme italiane. Segnatamente, l’Ente ha chiesto la condanna dell’Istituto al risarcimento del danno per responsabilità pre-contrattuale e, in subordine, la dichiarazione di nullità del contatto.
Nel settembre 2014 l’Istituto – a sua volta – ha adito la Corte anglosassone, affermando che la causa intentata dall’Ente in Italia era connessa all’operazione finanziaria in parola e che tale procedimento violava di conseguenza la clausola di giurisdizione esclusiva inglese.
L’Istituto ha quindi richiesto l’accertamento della suddetta violazione contrattuale e per l’effetto che fosse riconosciuta a suo favore l’indennità prevista nel contratto in caso di inadempimento contrattuale, nonché il risarcimento dei danni patiti. L’Ente replicava richiedendo la declaratoria di sospensione del procedimento, trattandosi di causa avente il medesimo oggetto o comunque connessa con quella dallo stesso promossa precedentemente innanzi al giudice italiano.
Va rilevato che la causa è stata intentata prima di Gennaio 2015 e pertanto non ha potuto trovare applicazione la riforma del Regolamento “Bruxelles 2012”, il quale attribuisce primaria importanza all’accordo delle parti sulla giurisdizione, a discapito del principio di priorità del giudice adito per primo: cfr. art. 31 ( 2 ) del suddetto Regolamento.
Nondimeno, la citata pronuncia della Corte inglese merita attenzione per le considerazioni svolte in tema di sospensione del procedimento per litispendenza e connessione internazionale.
Nel decidere in via preliminare in merito alla propria competenza, la Corte ha infatti chiarito la portata e l’ambito di applicazione degli artt. 27 e 28 del Regolamento Bruxelles 2001.
L’art. 27 di tale Regolamento recita: “qualora davanti a giudici di Stati membri differenti e tra le stesse parti siano state proposte domande aventi il medesimo oggetto e il medesimo titolo, il giudice successivamente adito sospende d’ufficio il procedimento finché sia stata accertata la competenza del giudice adito in precedenza”.
In primo luogo, la Corte inglese ha ritenuto di precisare il significato di “medesimo oggetto e medesimo titolo” (“the same cause of action”).
Secondo il tribunale anglosassone, ai fini dell’applicazione dell’art. 27, i giudizi devono avere ad oggetto gli stessi fatti e i medesimi assunti, da individuarsi in base all’atto di parte attrice (stesso titolo o causa petendi). Inoltre, le parti devono perseguire il medesimo risultato (ossia identità di petitum).
Il giudice sarebbe tenuto a compiere una comparazione tra i due atti introduttivi, senza aver riguardo all’atto di parte convenuta, al fine di valutare se un procedimento rilfetta esattamente l’altro.
La Corte, applicando tali principi, ha osservato che, nella specie, l’azione principale intentata dall’Ente dinanzi al tribunale di Milano ha ad oggetto il risarcimento per responsabilità pre-contrattuale ed extracontrattuale, per cui l’art. 5.(3) del Regolamento prevede la giurisdizione del luogo in cui è avvenuto l’evento dannoso. Ebbene, tale azione ha senz’altro un oggetto e un titolo diversi rispetto all’istanza formulata dall’Istituto afferente l’inadempimento della clausola di giurisdizione.
In relazione alla domanda subordinata di dichiarazione di nullità del contratto, la Corte ha osservato che la clausola di giurisdizione esclusiva, al pari della clausola arbitrale, è un accordo separabile rispetto al contratto in sé. Conseguentemente, contestare la validità del contratto non equivale ad inficiare il separato accordo concernente la giurisdizione, oggetto invece del giudizio dinanzi al giudice inglese.
La Corte ha riconosciuto più complesso il tema afferente la domanda presentata dall’Istituto in relazione all’indennità prevista nel contratto. Sul punto il tribunale anglosassone ha ritenuto possa rientrare nelle sue facoltà condurre una verifica preliminare in ordine alla validità della clausola contrattuale che prevede l’indennità e, conseguentemente, pronunciarsi sulla validità del contratto in generale.
Passando alla pretesa risarcitoria dell’Istituto, il tribunale angolsassone ha sottolineato che la stessa ha ad oggetto il risarcimento dei danni per inadempimento della clausola di giurisdizione esclusiva, mentre la domanda risarcitoria dell’Ente, come si è visto, concerne la responsabilità extracontrattuale (la domanda principale) e la restituzione di quanto prestato conseguente alla asserita nullità del contratto (la domanda subordinata).
In conclusione, la Corte ha ritenuto che, pur concernendo le cause questioni comuni, nel caso di specie non fosse applicabile l’art. 27, dal momento che non vi era corrispondenza di oggetto tra le domande avanzate alla Corte anglosassone dall’Istituto e quelle presentate dall’Ente presso il tribunale di Milano.
La Corte londinese ha inoltre richiamato l’art. 28 suddetto che recita: “Ove più cause connesse siano pendenti davanti a giudici di Stati membri differenti, il giudice successivamente adito può sospendere il procedimento”.
Nel caso di specie, l’Ente sosteneva che la Corte anglosassone, nell’esercitare il suo potere discrezionale, avrebbe dovuto sospendere il giudizio alla luce della comunanza di oggetto rispetto al procedimento italiano, del rischio di decisioni confliggenti, dei principi generali in merito al giudice adito per primo, nonché della maggiore prossimità fattuale e legale della controversia all’Italia.
Tuttavia, la Corte ha considerato come argomento decisivo sul punto l’esistenza di un accordo tra le parti sulla giurisdizione esclusiva a favore delle corti inglesi e, pertanto, ha reputato di non sospendere il procedimento ex art. 28.
Ritenendo così di poter decidere nel merito la causa, la Corte ha considerato legittima l’istanza dell’Istituto di procedere a giudizio sommario. A tal riguardo Essa ha in primo luogo osservato che, pur essendo astrattamente prevista la possibilità di pronunciarsi sul merito della causa nella stessa udienza in cui viene definita la questione sulla giurisdizione, i giudici generalmente accolgono simile richiesta soltanto in casi molto particolari.
La Corte ha però considerato che nel caso di specie l’Ente aveva già esposto tutte le sue difese anche per ciò che concerne il merito ed, inoltre, la documentazione e le argomentazioni presentate a sostegno della sua tesi erano complete, sicchè parte convenuta non avrebbe subito alcun pregiudizio in caso di giudizio sommario. ll giudice inglese ha pertanto proceduto a decidere il merito della controversia nella medesima udienza, analizzando e superando tutte le eccezioni esposte dall’Ente.
La Corte anglosassone – per effetto di ciò – ha accolto le domande avanzate dall’Istituto con le declaratorie del caso, fatta eccezione per la richiesta di indennità, rilevando che la clausola che la prevedeva non era sufficientemente chiara per potere essere assunta in sede di giudizio sommario.

Link all’articolo

No Comments

Sorry, the comment form is closed at this time.