Usa: autonomia delle parti in materia processuale

Avv. Maurizio Gardenal e Dott.ssa Sara Marchese
Articolo pubblicato su “Diritto 24″, rubrica del Sole24Ore.com, 26 maggio 2016

Nel sistema giuridico statunitense l’autonomia delle parti assume, fra l’altro, valore decisivo nella fase di negoziazione del contratto che precede l’entrata in vigore con la formale sottoscrizione.
Invero, a differenza della maggioranza degli ordinamenti europei, le norme in essere negli U.S.A. conferiscono, in linea di principio, massima espansione all’autonomia delle parti al fine di agevolare, attuando un approccio flessibile, il componimento consensuale delle molteplici esigenze dei singoli contraenti.

In materia processuale, segnatamente, tale diversa configurazione, si ravvisa, fra le altre, in due ipotesi particolari.

In primo luogo, con riferimento al diverso trattamento delle spese processuali.

In merito, si consideri che l’ordinamento statunitense non disciplina il principio di “soccombenza” che invece si rinviene codificato – ad esempio – nelle norme del codice di procedura civile italiano: artt. 90 e seg.

Ciò significa che, quand’anche le domande processuali di una delle parti nella lite trovassero accoglimento dinanzi alle autorità giudiziarie negli U.S.A. le sentenze ivi pronunciate non terranno conto normalmente della rifusione delle spese legali sostenute dalla parte “vincente” a carico di quella “perdente”.

Occorre che le parti adottino una clausola che preveda espressamente l’addebito delle spese legali, a titolo di risarcimento del danno, alla parte soccombente.

Sulla base di tali assunti, appare opportuno prestare particolare attenzione nel negoziare econcordare in sede contrattuale le modalità complessive con le quali dovranno essere imputati gli oneri connessi con la gestione di eventuali contenziosi, essendo tale aspetto essenzialmente rimesso alla volontà delle parti stesse.

Nella descritta situazione, non vanno dimenticati i costi – spesso molto elevati – dei procedimenti giudiziari negli U.S.A.

La seconda ipotesi riguarda il tema della prescrizione.

In Italia, ad esempio, vige un termine di prescrizione generale di dieci anni, stabilito dall’art. 2946 del Codice Civile, che decorre dalla data in cui il diritto può essere fatto valere per la prima volta: nel caso di recupero del prezzo di una vendita, dalla data di scadenza del termine di pagamento concordato.

Negli U.S.A. lo UCC (Uniform Commercial Code ) fissa un termine generale di quattro anni per le azioni legali promosse per far valere una violazione del contratto di vendita. Di norma, il termine decorre dal giorno in cui si è verificata la violazione.

Tuttavia, vari Stati – fra i quali Florida, Connecticut, Massachusetts – non hanno recepito il suddetto termine.

In linea generale, la prescrizione è regolata dalla legge dello Stato nel quale la causa deve essere intentata: pertanto occorre accertarsi delle norme locali.

Nondimeno, ciò che conta e fa la differenza è la natura di tali termini che non sono imperativi nel sistema statunitense bensì derogabili per volontà delle parti sia pure nel rispetto di una soglia minima.

Anche in questo caso, dunque, è riconosciuta alle parti facoltà di collocare nel testo contrattuale una clausola che stabilisca un termine di prescrizione concordato per le azioni derivanti dal contratto.

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