Prorogate le trattative per l’accordo di libero scambio tra Unione Europea e Stati Uniti

di Maurizio Gardenal e Ivory Angelica Wiley
Articolo pubblicato su “Diritto 24″, rubrica del Sole24Ore.com, 22 novembre 2013

Sono in essere già da qualche anno, come noto, i negoziati tra i rappresentanti dell’ Unione Europea e degli Stati Uniti finalizzati alla creazione di un’area di libero scambio tra i due territori formalmente conosciuta come “Transatlantic Free Trade Agreement (TAFTA)”.

In termini generali, l’accordo che istituisce un’area di libero scambio (free trade agreement) trae origine dall’iniziativa di un gruppo di paesi i quali concordano di eliminare dazi, quote e/o preferenze tariffarie sulle merci oggetto dei loro scambi commerciali. Lo scopo è, pertanto, quello di ridurre le limitazioni al commercio con conseguente aumento del reddito e del benessere degli Stati contraenti.

Nel 2007 venne istituito il “Transatlantic Economic Council” con lo scopo di pervenire ad un accordo siffatto tra gli Stati Uniti e l’Unione Europea. Si tratta di un accordo commerciale senza precedenti che coinvolge una vasta area geografica: basti pensare che da un lato vi sono 50 Stati (USA) e dall’altro 28 (Europa).

L’obbiettivo comune è anche quello diretto a meglio fronteggiare le economie dei paesi emergenti asiatici con particolare riferimento alla Cina.

In particolare, i due continenti intendono non solo ridurre e possibilmente elidere i dazi ma anche armonizzare le rispettive legislazioni nei vari settori oggetto di scambi commerciali.

In realtà le trattative, che si protraggano ormai da diversi anni, non sembrano contraddistinte da un percorso agevole.

Alla base di tali difficoltà molto spesso risiedono sostanziali differenze nei modelli certificativi in essere nelle due aree.

Per citare un esempio tratto dal settore auto, in Europa le case automobilistiche devono normalmente sottoporre le nuove autovetture a determinati “crash test” presso strutture pubbliche prima di collocarle sul mercato. Negli USA, invece, vale di regola il principio del “self certify” in forza del quale le case automobilistiche sono autorizzate a garantire e “autocertificare” la sicurezza dei veicoli, salva la facoltà delle autorità di controllo di effettuare verifiche “ex-post”.

Nondimeno, il settore auto appare quello nel quale le parti hanno conseguito complessivamente i maggiori progressi.

Invero, l’amministrazione Obama ha introdotto recentemente una serie di nuove disposizioni in ordine al controllo delle emissioni inquinati e alla efficienza dei dispositivi di emissione che si sono avvicinate molto a quelle europee.

Nella descritta situazione, l’obbiettivo finale è quello di pervenire ad un sistema nel quale un’automobile prodotta e “certificata” negli Stati Uniti sarebbe pronta da collocare sul mercato europeo e viceversa.

In altri settori industriali, invece, il contesto negoziale è più complesso. È il caso dei prodotti chimici ove si sono ravvisate differenze sostanziali tra le normative statunitensi e quelle europee. Il vecchio continente ritiene che alcuni prodotti chimici siano oggettivamente pericolosi e pertanto non dovrebbero essere venduti in nessun caso, mentre gli Stati Uniti manterrebbero tali prodotti sul mercato salvo accertare “on the market” eventuali danni per i consumatori.

Gli esempi peraltro potrebbero essere molteplici ma, per motivi di brevità, ci limiteremo ai due segnalati.

Si può ben comprendere quindi che vi sono, a tutt’oggi, oggettive difficoltà nel raggiungimento di un accordo di natura definitiva.

I negoziati tra le parti, pertanto, sono piuttosto faticosi e recentemente sono andati  a rilento anche a causa dello “shut down” statunitense il quale ha causato la chiusura dei lavori che si sarebbero dovuti svolgere a Bruxelles nello scorso mese di ottobre.

Pertanto, il raggiungimento di un accordo finale, inizialmente previsto per gennaio 2014, sarà certamente prorogato.

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