Confronto italo-francese sulla disciplina del licenziamento dopo la c.d. riforma Fornero

di Maurizio Gardenal e Eva Belinguier-Raiz

Articolo pubblicato su “Diritto 24″, rubrica del Sole24Ore.com, 12 ottobre 2012

La legge n. 92 del 28 giugno 2012 recante disposizioni in materia di Riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita (cosiddetta Riforma Fornero) non finisce di suscitare reazioni di vario tipo, in particolare per quanto riguarda la nuova disciplina del licenziamento. Per alcuni, detta riforma era indispensabile per adeguare all’attuale contesto economico una disciplina del licenziamento individuale considerata  troppo rigida e severa per i datori di lavoro. Altri invece vedono nella riforma un modo per introdurre strumenti a favore delle aziende per facilitare lo scioglimento dei rapporti contrattuali a danno dei lavoratori.
A questo punto diventa opportuno confrontare la disciplina del licenziamento dopo la riforma Fornero con quella in vigore in altri paesi vicini, come la Francia ad esempio, considerata da sempre come uno dei paesi più all’avanguardia in materia di tutela dei lavoratori.
Il confronto dei due sistemi ha evidenziato l’esistenza di punti di convergenza, confermando quindi l’esigenza di adeguamento all’attuale contesto economico, ma anche di importanti punti di divergenza riguardante in particolare la tutela dei lavoratori.

I maggiori punti di convergenza tra Italia e Francia

Il principio di non-automaticità del reintegro

Una delle maggiori novità in materia di licenziamento in Italia è la fine del reintegro automatico e, pertanto, la modifica del famoso art. 18 dello Statuto dei lavoratori (Legge 300 del 20 maggio 1970). In effetti, la riforma Fornero pone fine a disposizioni in vigore da oltre 40 anni che prevedevano che, a fronte di un licenziamento illegittimo, non supportato giusta causa o giustificato motivo, il giudice dichiarava l’illegittimità del provvedimento e ordinava la reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro, con diritto alla corresponsione di tutte le retribuzioni medio tempore maturate.

Solo in due casi detto principio di automaticità veniva temperato:

(a) nel caso il lavoratore richiedesse  un’indennità risarcitoria (pari a 15 mensilità di retribuzione) in sostituzione della reintegra;

(b) nel caso il datore di lavoro pubblico o privato non avesse più di 15 dipendenti nell’unità produttiva oppure complessivamente 60 dipendenti sul territorio nazionale: a lui si applicava la tutela obbligatoria che prevedeva, in caso di licenziamento illegittimo, la possibilità per il datore di lavoro di riassumere il dipendente oppure corrispondergli una indennità risarcitoria da 2,5 a 6 mensalità di retribuzione in funzione dell’anzianità di servizio.

La riforma Fornero ha provveduto all’abolizione del reintegro “automatico” e alla sua sostituzione in alcuni casi con un semplice risarcimento economico.

In pratica, il reintegro automatico (tutela reale) permane solo in caso di licenziamento discriminatorio, qualunque sia il numero di dipendendi dell’azienda.. Per quanto riguarda invece gli altri tipi di licenziamento, il reintegro cessa di essere automatico. Il regime sanzionatorio si basa sulla corresponsione al lavoratore di un indennità risarcitoria il cui importo dipende dal tipo di licenziamento e dall’anzianità di servizio del lavoratore. Viene pero’ introdotta la possibilità, per il giudice, di disporre il reintegro e una indennità pari alla retribuzione dovuta dal momento del licenziamento qualora si accertasse che il dipendente non ha commesso il fatto (in caso di licenziamento disciplinare) o che il fatto posto alla base dell’atto di recesso (in caso di licenziamento economico) è manifestamente “insussistente”.

In conseguenza, in Italia il principio del reintegro automatico cede il posto all’indennizzo economico e permane solo a titolo di eccezione nel regime sanzionatorio del licenziamento.

Cosi facendo, il sistema Italiano si è avvicinato al modello Francese, il quale distingue tra:

– il licenziamento individuale “sans cause réelle et sérieuse, cioè senza giusta causa o ingiustificato. In questo caso, “il giudice puo’ proporre il reintegro del dipendente con diritto alla corresponsione di tutte le retribuzioni medio tempore maturate” (art. L1235-2 del Codice del lavoro francese). Tuttavia, detta possibilità è limitata dal fatto che a differenza del sistema Italiano, che prevede la facoltà di scelta tra il reintegro e l’indennizzo solo a favore del lavoratore, in Francia detto diritto di scelta appartiene a entrambe le parti. Cio’ significa che il datore di lavore puo’ opporsi alla proposta del giudice di reintegrare il dipendente. In questo caso, a quest’ultimo viene corrisposto un indennizzo che non puo’ essere inferiore a 6 mensilità. Invero, nella prassi giurisdizionale francese, la maggior parte delle cause lavorative avente ad oggetto l’impugnazione del licenziamento si concludono con la corrisponsione di un indennizzo.

Si precisa tuttavia che la facoltà del giudice di disporre il reintegro non si applica qualora il dipendente abbia un anzianità inferiore a 2 anni e l’azienda un numero di dipendenti inferiore a  11. In questo caso, l’indennizzo economico diventa l’unica sanzione possibile e il suo valore dipende dal danno subito.

– il licenziamento “nullo”, cioè considerato come tale dalla legge o dalla giurisprudenza, in caso di violazione di una libertà fondamentale. Davanti a tale ipotesi, la reintegrazione è di diritto per i dipendendi e il datore di lavoro non puo’ opporsi, tranne impossibilità accertata. La nullità è ad esempio prevista in caso di licenziamento discriminatorio (art. L1132-4 del Codice del lavoro francese) oltre ad altri casi tra i quali, a titolo esemplificativo, la tutela delle lavoratrici in gravidanza, dei dipendenti vittime di infortuni sul lavoro o di malattie professionali. La stessa sanzione prevale in caso di nullità della procedura per alcuni licenziamenti economici collettivi (art. L1235-11) o in caso di licenziamento di lavoratori che abbiano un mandato di rappresentanza del personale (art. L2422-4).

Pertanto, si puo’ concludere che l’Italia ha fatto la scelta, come la Francia, di lasciare maggiore spazio alla libertà contrattuale e di limitare l’obbligo di proseguire rapporti contrattuali “imposti” solo in caso di violazioni più gravi.

L’obbligo di motivare il licenziamento nella lettera di notifica

La riforma Fornero ha introdotto nuove disposizioni in materia di motivazione del licenziamento: in effetti, oramai la comunicazione al lavoratore di qualsiasi tipo di licenziamento deve già contenere le motivazioni che hanno determinato la volontà di recedere mentre anteriormente il datore di lavoro aveva l’obbligo di inviare le motivazioni del recesso solo su richiesta da parte del lavoratore.

In Francia, detta “novità” italiana puo’ sorprendere dato che l’obbligo di motivare il licenziamento fin dalla lettera di notifica è un vero e proprio principio fondamentale esistente da tempo (art. L1232-6 del Codice del lavoro francese) e interpretato molto strettamente dai Giudici francesi. In effetti, detto principio è talmente fondamentale che in mancanza di motivazione o anche in caso di insufficenza di motivazione nella lettera di licenziamento, la sanzione è delle più severe: l’inefficacia del licenziamento.

Si precisa, pero’, per quanto riguarda la sanzione della mancata motivazione, che il sistema italiano prima della riforma era comunque più severo rispetto a quello francese posto che prevedeva l’applicazione della piena tutela ai sensi dell’articolo 18 (ora si riconosce al lavoratore un’indennità risarcitoria compresa tra sei e dodici mensilità) mentre in Francia il licenziamento non motivato è considerato come “senza giusta causa” e da luogo a un indennità risarcitoria, come meglio precisato in precedenza. Tuttavia, non essendovi in Francia un limite massimo per l’importo dell’indennità risarcitoria, essa puo’ raggiungere somme molto pesanti per le aziende.

Peraltro, in Francia, i motivi esposti nella lettera di licenziamento condizionano i limiti dell’oggetto del processo dato che in caso di impugnazione del licenziamento, il datore di lavoro, nella sua difesa, non ha diritto di  apporgiarsi o di fare riferimento a motivi diversi o aggiuntivi rispetto a quelli esposti nella lettera di licenziamento.

La redazione della lettera di licenziamento è pertanto una fase molto delicata e pericolosa per il datore di lavoro francese.

I maggiori punti di divergenza tra Italia e Francia

Il diritto di revoca del licenziamento

La riforma Fornero ha introdotto il diritto per il datore di lavoro di revocare il licenziamento a condizione che ciò avvenga entro il termine di quindici giorni dalla comunicazione del lavoratore al datore di lavoro dell’impugnazione del licenziamento stesso. In tale caso, il rapporto di lavoro prosegue come se nulla fosse avvenuto e il lavoratore deve riprendere immediatamente servizio. Quest’ultimo ha diritto alla sola retribuzione maturata nel periodo precedente alla revoca.

Il sistema Francese ignora il diritto di revoca a favore del datore di lavoro, e sembra difficile che tale diritto possa un giorno essere introdotto. In Francia, nel caso il datore di lavoro si dovesse pentire di aver licenziato un dipendente, spetta al dipendente decidere se reintegrare l’azienda o se confermare il recesso del contratto chiedendo in cambio un indennizzo risarcitorio. Il sistema è praticamente identico a quello che preesisteva in Italia.

La tempistica in materia di contestazione del licenziamento

Una ulteriore differenza di rilievo tra il sistema italiano e quello francese riguarda i tempi concessi al lavoratore per impugnare il licenziamento. La differenza era già esistente prima della riforma Fornero ma si puo’ dire che l’introduzione di disposizioni vertendo ad accelerare i tempi con l’obbiettivo di non esporre troppo a lungo le aziende al rischio legato all’eventualità di una impugnazione, evidenzia ancora di più la divergenza tra i due paesi.

Innanzitutto, la Francia non prevede nessun obbligo di impugnazione stragiudiziale. Mentre in Italia il licenziamento deve essere impugnato, con qualunque atto scritto, entro 60 giorni dalla ricezione della comunicazione, a pena di decadenza, in Francia il dipendente puo’ ricorrere direttamente al tribunale anche se, in pratica, l’impugnazione stragiudiziale è consigliabile in quanto dimostra la reattività, quindi spesso anche la credibilità, del dipendente.

E lo è ancora di più se si considera che il dipendente sottoposto al diritto francese dispone, salvo eccezioni, di un termine di prescrizione di 5 anni a partire della comunicazione del licenziamento per impugnarlo. Addirittuta, prima della riforma francese della prescrizione in materia civile avvenuta con la Legge n. 2008-561 del 17 giugno 2008, il termine di prescrizione era di 30 anni! Si ricorda che in Italia l’impugnazione stragiudiziale è inefficace se entro i successivi 180 giorni (270 prima della riforma) non viene depositato il ricorso nella cancelleria del Tribunale del lavoro competente oppure inviata alla controparte una richiesta di conciliazione o di arbitrato.

Infine, mentre la legge 92/2012 detta anche una nuova disciplina del processo del lavoro avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento e le controversie aventi ad oggetto la qualificazione di un rapporto di lavoro con lo scopo di abbreviare il rito, la Francia non prevede nessuna disposizione processuale specifica per l’impugnativa del licenziamento.

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