California (USA): rafforzata la normativa per garantire l’uguaglianza retributiva tra i sessi

a cura di Maurizio Gardenal, Avvocato, Carlotta Colace, Dottoressa, Studio legale internazionale Gardenal & associati
Articolo pubblicato su “Diritto 24″, rubrica del Sole24Ore.com, 12 novembre 2015

Il 6 ottobre 2015 è stato firmato dal Governatore della California, Jerry Brown, il Fair Pay Act, definito da molti come il provvedimento normativo in materia di uguaglianza retributiva più stringente e aggressivo degli Stati Uniti, che entrerà in vigore dal 1° gennaio 2016 (cfr.clicca qui).
Quanto previsto nel Fair Pay Act sebbene richiami, in generale, le disposizioni già in vigore in altri Stati oltre alla disciplina prevista in materia a livello federale (il c.d. Equal Pay Act of 1963, cfr il testo integrale della normativa: clicca qui), al contempo si discosta dalle suddette normative per molti aspetti.

Segnatamente, la normativa federale prevede la parità retributiva tra uomini e donne quando essi svolgano le uguali attività, nell’ambito dello stesso ufficio/stabilimento della medesima società. Al contrario, il Fair Pay Act californiano dispone che venga riconosciuto ai lavoratori parità retributiva nel caso in cui questi ultimi – anche se assunti e operanti in diversi uffici/sedi/stabilimenti, dislocati perfino in altri Stati degli USA, purché appartenenti alla medesima società – pongano in essere attività lavorative che siano “sostanzialmente simili” tra loro, quando siano viste come un insieme di abilità, impegno e responsabilità, realizzate in condizioni lavorative analoghe.

Inoltre, la riforma in oggetto, permette ai lavoratori di chiedere informazioni in merito ai salari dei propri colleghi e di trattare l’argomento nell’ambito delle relazioni di lavoro senza andare incontro a possibili ripercussioni da parte del datore di lavoro: tutela – si noti – che in passato non era in essere.

Nella descritta situazione si rileva che, la previgente normativa californiana, la California Equal Pay Act del 1949 (cfr. il testo integrale della normativa: clicca qui), rispecchiando quanto sancito a livello federale, legava la parità retributiva all’esecuzione di lavori “uguali” posti in essere nel medesimo ufficio/stabilimento di una società. In altre parole, quindi, una donna percepiva lo stesso salario di un uomo che possedeva uguale titolo professionale e che esercitava tale lavoro nel medesimo ufficio/stabilimento della stessa società. Nel caso in cui, però, un uomo fosse stato assunto per svolgere un lavoro “sostanzialmente simile” a quello eseguito da una donna ma con titolo professionale differente e al primo fosse stata riconosciuta una retribuzione diversa e superiore rispetto a quella percepita dalla donna, quest’ultima, sulla scorta della previgente normativa, avrebbe avuto oggettive difficoltà a far valere i propri diritti in giudizio, stante il fatto che l’uguaglianza retributiva era connessa alla realizzazione di attività lavorative che fossero “uguali” tra loro e non “sostanzialmente simili”.

Con il Fair Pay Act, invece, viene riconosciuto alle donne il diritto di ricevere il medesimo stipendio percepito da un uomo che svolge un lavoro “sostanzialmente simile” al loro, anche nel caso operi in sedi differenti della medesima società. Ad esempio, in forza della citata normativa, la cameriera in un albergo ha ora facoltà e il diritto di paragonare il proprio salario con quello percepito da un inserviente che pulisce le conference rooms.

Vale evidenziare che nel caso in cui sussistano diseguaglianze in materia di retribuzioni tra dipendenti che svolgono lavori simili tra loro, in forza della nuova normativa californiana, il datore di lavoro sarebbe tenuto a giustificare i motivi che presiedono a tali differenze, facendo riferimento a fattori quali: l’anzianità, il merito, la quantità e qualità della produzione nonché ai fattori c.d. di bona fides inerenti al livello di educazione, all’esperienza professionale, alle capacità tecniche e a qualsiasi altro elemento che non sia basato sul genere sessuale o da esso derivato. Nondimeno, tale citata diposizione non è stata specificata nel dettaglio dalla normativa californiana, lasciando la possibilità ai lavoratori, e in particolare alle lavoratrici, di agire in giudizio nei confronti dei datori di lavoro, appellandosi al fatto che le disparità a livello retributivo non siano possibili in quanto connesse a elementi di discriminazione sessuale.

Sul punto si nota che la normativa federale, l’Equal Pay Act of 1963, non fa riferimento ai fattori c.d. di bona fides, limitandosi a prevedere che differenze in materia retributiva possono essere applicate con riguardo all’anzianità, al merito, alla quantità e qualità della produzione oltre che sulla scorta di qualsivoglia altro elemento purché non fondato sul genere sessuale.
Preme rilevare che, ai sensi del Fair Pay Act, nel caso in cui un datore di lavoro applichi i fattori di cui sopra, sarà gravato dall’onere di dimostrare che tali elementi – che comportano differenze a livello retributivo – siano stati “applicati con ragionevolezza”, criterio quest’ultimo, come accennato, molto ampio e non meglio specificato dalla normativa.

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