5G: tra USA e Pechino il diritto è destino

di Maurizio Gardenal, Avvocato, Dott. Prof. Alessandro Politi, Studio legale internazionale Gardenal & Associati
Articolo pubblicato su “Diritto 24″, rubrica del Sole24Ore.com, 4 giugno 2019

Mentre la notizia del ricorso di Huawei contro il Governo federale nel pomeriggio del 28 maggio dinanzi la Corte Distrettuale Est del Texas riempiva le più accreditate testate internazionali, quasi nulla si sapeva di un altro evento giuridico di impatto forse più rilevante.

Il 21 maggio il giudice distrettuale del Northern District of California condannava la connazionale Qualcomm per violazione delle norme antitrust confermando la decisione della US Federal Trade Commission sul punto (“Sentenza”).

Non è una novità che le autorità federali e giudiziarie statunitensi si pronuncino rigettando ricorsi promossi da compagini nazionali verso entità cinesi anche con riferimento a temi chiave (cfr. USA: storica vittoria cinese nel braccio di ferro sull’acciaio)

Senza entrare nel merito della Sentenza, peraltro motivata con dovizia di dettagli (cfr.
https://www.scribd.com/document/411066611/19-05-21-Judgment-in-Favor-of-FTC-Against-Qualcomm), occorre ricordare che Trump ha appena varato l’ordine esecutivo che impedisce alle aziende di fare affari con società straniere che minacciano la sicurezza nazionale; il che rinforza la decisione del Dipartimento al Commercio di porre Huawei in black list, vietando all’operatore cinese l’acquisto di tecnologie statunitensi e di fatto di competere sul mercato nazionale.
Sembra che il tema antitrust vada di moda perché pochi giorni prima (29 aprile), lo “Shanghai Market Regulation Bureau” (SMRB) ha punito,con una sanzione pari a $3,6 milioni, la sussidiaria locale della statunitense Eastman Chemical Company per asserito abuso di posizione dominante.

Vale notare che è la prima volta che l’SMRB (che dipende dalla “State Administration for Market Regulation” SAMR) decide in materia di antitrust, suscitando l’attenzione degli specialisti. Il caso si è rivelato molto più significativo del solito perché sembra abbandonare il principio che le Autorità deputate all’amministrazione della giustizia debbano decidere sulla base di principi giuridici, assioma trasfuso in tutte la “carte” costituzionali.

Tuttavia, SAMR e SMRB stanno svolgendo la propria attività di governo dell’antitrust senza che: le norme ci siano, siano agevolmente rintracciabili o vi siano disposizioni specifiche che contribuiscano a generare la certezza del diritto per la quale il diritto stesso trae la sua ragion d’essere. Basti pensare che la bozza diffusa quest’anno dalla SAMR definisce l’abuso di posizione dominante come qualsivoglia condotta riconducibile a “disguised forms via setting specific trading conditions or by other indirect means”. Una clausola “catch-all” che non aumenta la tutela del diritto per nessuno, a cominciare dai cittadini cinesi.

Conclusioni

Negli USA lo scontro ed il controllo fra poteri non è una novità, si veda il nostro contributo pubblicato su Diritto24.

Anzi è parte essenziale della costituzione e la possibile garanzia se non di equità, quantomeno di prevenzione di un dispotismo sfacciato.

Il caso Qualcomm ne è una ulteriore conferma, se si pensa che la Sentenza conferma la decisione di un’Agenzia federale contro il colosso di San Diego. L’anno scorso Trump ha posto il veto alla prospettata acquisizione di Qualcomm da parte della concorrente Broadcom (un affare da $117 miliardi) per motivi di sicurezza nazionale sul presupposto di presunti legami di quest’ultima con “terze parti” ed è stato sollecitato dal suo partito a tentare di “chiudere” la vertenza Qualcomm nell’ambito del procedimento presso la US Federal Trade Commission.
Nella descritta situazione, la Sentenza, se da un lato segna una battuta di arresto per il 5G statunitense poiché boccia il modello di business adottato da Qualcomm, leader in the USA nello sviluppo della nuova tecnologia, dall’altro apre la strada alla cinese Huawei posto che stabilisce, di fatto, che Qualcomm “has to license its standard-essential patents to its competitors on so called FRAND terms fair, reasonable and non-discriminatory”.

Mentre dunque in Cina il diritto assume una veste sempre più astratta per servire la ragion di stato del partito unico, negli USA un giudice federale (peraltro con una sentenza di 233 pagine ricca di argomentazioni giuridiche ineccepibili, che rendono incerto il probabile appello del gigante dei chip) sembra porre un freno, con un colpo di penna, a gran parte della linea politica della Casa Bianca.

Al di là delle guerre commerciali, alla fine il peggior nemico di Trump non sembra essere la Cina, ma la sua dispotica ed arbitraria maniera d’interpretare le relazioni politiche e commerciali, pienamente figlia della cultura distruttiva del hire and fire.

Per la maggioranza del mondo il vero tema dietro queste schermaglie è la frizione inevitabile tra due fasi dell’ordine globale, gestita in modo sempre più antagonistico tra le due grandi potenze mondiali. Da un lato abbiamo un sistema dove lo stato non è parte terza, a dispetto delle buone intenzioni legislative, generando due problemi seri per la dirigenza cinese: corruzione consustanziale alla mancanza di arbitraggio fra controllore e controllato ed inefficienza regolativa e legale. Dall’altro una presidenza che appare schierata contro i valori costituzionali e repubblicani, che adotta il tipico modello di autocrazia aziendale per risolvere problemi che richiedono spesso maggiore concerto che scontro.

Sono due fragilità che si guardano in cagnesco, accomunate dalla “solitudine” di due presidenze quasi onnipotenti e frenate – sinora – ciascuna – dai bilanciamenti interni al sistema. Negli Stati Uniti c’è l’opposizione e l’indipendenza tra poteri (in questo caso quello giudiziario) a costituire un argine, in Cina la natura intrinsecamente collegiale delle decisioni di partito. Come italiani sappiamo che solo nei film i baluardi reggono e che nella realtà possono venire sfondati oppure aggirati.

Nel dramma “Un uomo per tutte le stagioni”, Tommaso Moro sostiene con implacabile logica britannica che anche il diavolo ha diritto alla protezione della legge, perché senza quella è lui che ha davvero mano libera. Huawei usa gli strumenti del diritto statunitense, riconoscendo una sovranità ed una qualità differenti dalla legge de facto del guangxi.

Se Pechino non dimostra analoga qualità del diritto, lasciando da parte le esternazioni di Putin sulla “dittatura delle legge” e seguendo piuttosto l’etica legale della dinastia Tang, sbriciolerà all’interno la solidità della sua compagine e lacererà la tela delle alleanze internazionali che sta costruendo. Se l’attuale presidenza statunitense continuerà a confondere arbitrariamente livelli, metodi e scopi delle regole nazionali ed internazionali, non solo non proteggerà il vecchio ordine mondiale in evidente crisi, ma si priverà degli strumenti per gestire una buona transizione ad un nuovo ordine globale.

È una corsa contro il tempo già partita ed è destinata ad avere effetti dirompenti anche nella corsa alla presidenza che sino ad oggi vede Trump saldamente al comando

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